Ma vi siete mai chiesti fedeli lettori di pianeta-calcio.it chi è stato il primo allenatore di una squadra di calcio? Nel giugno 1886 apparve sul quotidiano inglese di allora, la celebre Daily Gazette, il seguente annuncio: “Cercasi allenatore dell’Aston Villa Football Club, a cui sarà richiesto di dedicare a tutto il proprio tempo sotto la direzione del comitato. Stipendio: 100 sterline all’anno. Le candidature devono essere presentate entro e non oltre il 23 giugno al Presidente del Comitato, Aston Villa Club House, 6 Witton Road Aston”. Risposero all’annuncio oltre 150 candidati ma a risultare determinante, rispetto ai tanti concorrenti, fu la conoscenza dell’ambiente e la stima della dirigenza: George Ramsay era infatti il primo capitano dell’Aston Villa e la sua prima stella, tracciando il solco che aveva determinato lo stile tattico e caratteriale del club Scozzese di Glasgow, era arrivato a Birmingham molti anni prima per cercare lavoro nelle fonderie locali e in un momento di pausa aveva conosciuto i membri del neonato club. Nonostante avesse poco più di 20 anni, Ramsay aveva giocato in patria con Oxford e Rovers, due club di Glasgow. Non altissimo livello, si intenda, ma sufficiente per spiccare su un gruppo di ragazzi che si limitava a correre dietro ad un pallone. Con tanto impegno aveva insegnato ai compagni come difendere con ordine e come attaccare in modo corale. Ramsay prima di allenare giocò fino all’età di 26 anni dimostrando forte attaccamento per i colori dell’Aston Villa. Si sedette in panchina per fare l’allenatore dal 1886 fino al 1926 guidando la prima squadra in 1184 partite ufficiali e conquistò sei volte il campionato inglese. Poco dopo il ritiro arrivato a 71 anni, a causa di problemi di artrite che lo affliggevano, Ramsay vide l’ Aston Villa perdere il suo posto tra le big del calcio inglese. Un’incredibile retrocessione si concretizzò però soltanto l’anno successivo alla sua morte, quasi come se il destino avesse voluto mostrargli rispetto. Il tempo continua a passare inesorabile e il ruolo di allenatore in una squadra di calcio è sempre molto importante. Ma quali sono le caratteristiche di un buon allenatore? Deve essere più un formatore tecnico oppure anche una specie di psicologo sportivo? Abbiamo provato a capirne di più intervistando i tecnici Antonio Donatiello (ex Intrepida) e Nicola Santelli (ex Baldo Junior Team).
Per essere un buon allenatore dei dilettanti cosa serve? “Ovviamente un allenatore deve essere carismatico ed avere tanta personalità e farti valere all’interno del gruppo. Devi essere il leader della compagine che alleni ma alla stessa maniera devi essere anche empatico ed entrare nella testa dei giocatori, che non è assolutamente semplice. I giocatori della tua squadra sono lo specchio del tuo lavoro di tecnico. Se si percorre la stessa strada si va fortissimo. Amo molto il rapporto che riesco a istaurare con i giocatori, magari parlando anche di cose extra-calcistiche. Devi usare la carota ma a volte anche il bastone. Un buon allenatore deve essere veramente poliedrico. Deve saper curare nei dettagli l’aspetto fisico, caratteriale, tecnico, tattico e motivazionale”. Ora la parola passa a Nicola Santelli, che dice: “Il mister ha le sue idee e le deve portare avanti rimanendo fedele al suo credo calcistico. Deve avere una forte tempra e saper coinvolgere i ragazzi che allena, con allenamenti svolti con esercizi sempre nuovi e divertenti sapendo che quello che ci unisce è la passione per il football. Il mister deve capire i giocatori e valorizzare i loro aspetti tecnici e fisici per portare a casa dei risultati”. Si parla di valorizzazione dei giovani provenienti dal settore giovanile, ma quanti di questi meritano davvero di essere inseriti in prima squadra? “Viviamo in un periodo dove i giovani hanno tutto – dice Santelli. Playstation, divertimenti, studi e altri vari interessi e non hanno molta voglia di fare sacrifici sudando su un campo spelacchiato e infangato, correndo sotto la pioggia e con il freddo. A volte giocano a calcio solo per stare in compagnia con gli amici e se la domenica non giocano per loro è lo stesso. L’importante è bere una birretta tutti insieme a fine partita, ma questo fa parte dei dilettanti. Sono loro che non si sentono adeguati a salire di categoria. Se un giovane è bravo gioca sempre e arriva da solo in prima squadra. Ci mancherebbe altro. Sono due modi di pensare diversi e contrastanti. Chi vuole veramente arrivare e sa giocare a calcio prima o dopo arriva. Se un giovane è forte, che sia un fuori quota o no, per me gioca sempre”.
Antonio Donatiello dice: “Inizio con il dire che il settore giovanile è la base del calcio a tutti i livelli. Io vengo proprio da lì. Un grande mister deve prima cominciare ad allenare, con carica e grande entusiasmo, partendo dal settore giovanile. Lavorando sulla crescita personale e dei suoi ragazzi anno dopo anno. Poi si è veramente pronti per allenare una prima squadra. Bisogna insegnare calcio con umiltà partendo dai fondamentali, sia dal punto di vista tecnico che tattico. Mi piace mister Guardiola che inizia ogni allenamento “usando” l’attrezzo fondamentale, che nel nostro caso è il pallone, e termina sempre con quello, divertendo e divertendosi. Sono pochi i giocatori giovani che arrivano in prima squadra dotati di quella maturità necessaria per resistere agli urti, alle prestazioni da dimenticare e alle critiche. Non hanno in pratica le spalle larghe. Tanto che molte squadre prendono giocatori da altre società, visto che non ne hanno di pronti in casa”. Nel calcio c’è poca voglia di aspettare il lavoro che sta facendo l’allenatore perchè si è troppo legati ai risultati. E’ la dura legge del calcio, che ne pensate? “E’ Vero, i presidenti e i dirigenti vogliono tutto è subito – sostiene Donatiello -. Non ti lasciano il tempo di creare un gruppo solido e fornire delle buone prestazioni. A volte servono mesi ma dall’altra siamo legati ai risultati sul campo. Se le cose vanno male, da quando è nato il calcio, non si può cambiare una rosa di 20 giocatori, quindi meglio cambiare la guida tecnica. Io amo la Premier League, dagli inglesi c’è solo da imparare, ti lasciano tempo e ti danno la fiducia necessaria, sanno aspettare. In Italia questo purtroppo non succede quasi mai”. Anche Santelli è sulla stessa linea.. “Verissimo!C’è troppa voglia di fare in fretta il bilancio del lavoro che sta facendo l’allenatore. I presidenti, i direttori sportivi o gli altri dirigenti delle squadre non hanno più pazienza. Io dico che a queste persone servirebbe fare un corso per imparare i tempi giusti per intervenire sul lavoro che fa l’allenatore che hai tesserato ad inizio stagione. Il direttore sportivo deve fermarsi dove inizia il lavoro del suo allenatore. In pratica devono avere le stesse vedute”.
Roberto Pintore per www.pianeta-calcio.it