domenica, 22 Dicembre 2024

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Il medico della Lazio Ivo Pulcini: “Difficile per voi dilettanti applicare il protocollo medico!”

Ivo Pulcini, cardiologo e noto medico sportivo, ricopre attualmente il ruolo di direttore sanitario dell’SS Lazio. Il professionista, tra un tampone e l’altro effettuato in allenamento sui giocatori a lui affidati, ci ha concesso questa intervista esclusiva, rispondendo in merito a una decina di quesiti che interessano il nostro calcio, nella speranza che esso possa ripartire a settembre o al più presto con la massima tranquillità d’animo. La quale deriva dall’attenta applicazione delle linee-guida, suggerite dal Ministero della Sanità, sulla sicurezza della salute dei nostri mister ed atleti, oltre che di tutti quelli che fanno parte del nostro “grande circo pallonaro”. Dottor Pulcini, siamo in grado noi dilettanti di poter seguire dettagliatamente il protocollo medico già consigliato a voi professionisti e che dovrà essere rigorosamente osservato, messo in pratica, dal mondo dei dilettanti? “Così come consigliato, lo vedo molto difficile, senza un’organizzazione efficiente e preparata e le figure professionali giuste. Il termoscanner e la sanificazione sono un’ottima prevenzione, ma senza i test sierologici e i tamponi molecolari non è possibile escludere un soggetto positivo o falso positivo e soprattutto potenzialmente contagioso”.

Non tutti i nostri club potranno permettersi la professionalità e la competenza di un medico sportivo: quali, dunque, possono essere le alternative al fine di garantire la salute e la sicurezza sanitaria degli atleti? “Senza un medico dello sport, la vedo molto dura. La migliore soluzione è la prevenzione finalizzata a rinforzare il sistema immunitario. Prevenzione attiva e passiva. Lavarsi le mani e il distanziamento sociale, oltre le mascherine nei luoghi chiusi e con interlocutori estranei. Poi, lo stile di vita: una corretta alimentazione con frutta e verdura, tanta acqua, sonno regolare e, ovviamente, attività fisica, moderata e costante”. Perché non sottoporre non a uno, bensì a due check-up annuali le leve più giovani di ogni disciplina agonistica, visto che il fisico di ogni atleta – alla pari di tutti gli organi del nostro corpo – è in graduale crescita, sviluppo, fino a quando non è completato? E’ sempre e soltanto un problema di costi, i quali non dovrebbero essere calcolati quando si parla di salute di un individuo atleta o non atleta? Su questo argomento, alla fine degli anni 80 e durante il suo incarico di Consigliere Federale della F.M.S.I (Federazione Medico Sportiva Italiana), si era battuto con forza mio padre, Sinibaldo, anche lui cardiologo e medico sportivo. “Sarebbe molto auspicabile un controllo biennale dei giovani atleti, sia per la prevenzione di possibili disturbi del ritmo cardiaco, sia per problemi di accrescimento e di paramorfismi o dismorfismi (scoliosi, cifosi e lordosi), piattismo dei piedi, ginocchio varo o valgo, nonché rigidità dei muscoli antagonisti. Un tempo c’erano due figure professionali importanti nella tutela della salute dei giovani: il medico scolastico e il medico militare. Per la prevenzione e la diagnosi pre-clinica resta fondamentale il ruolo del medico dello sport”.

Il controllo doping, molto scrupoloso nel mondo dei calciatori e di tutti gli atleti professionisti, perché non effettuarlo – a maggior ragione – anche sull’immensa base-piattaforma della piramide calcistica, quella rappresentata, appunto, da noi dilettanti? “Il doping è un problema antico, quasi coevo allo sport stesso. Cercare un “aiutino” per modificare artificialmente un risultato, soprattutto se ci sono in ballo interessi non solo economici, ma anche semplici ambizioni personali, è la ricerca non sporadica purtroppo anche di alcuni genitori. Andrebbero fatti i controlli antidoping a tutti gli sportivi, ma prima ancora andrebbero fatte campagne di educazione sanitaria e di rispetto della lealtà e dell’etica sportiva a partire dalle scuole dell’obbligo. Le palestre dovrebbero essere le prime a dare il buon esempio”. Il grande caldo è meteorologicamente alle porte: i più esperti virologi sostengono che sia il nemico numero uno del Covid-19. Ma, per voi professionisti, tornare a giocare dopo mesi di inattività non comporta un elevato numero di rischi di traumi sportivi? E, se sì, quali sarebbero i più frequenti, i più gravi? “Il caldo è indubbiamente nemico del virus, ma insieme all’umidità è anche nemico dei muscoli. Per questo bisogna bere moltissimo, anche quando manca lo stimolo della sete, poi riscaldamento e stretching a tutti, e, in particolare, agli atleti più anziani e a quelli che durante la stagione agonistica hanno subito più traumi”.

Cosa si potrebbe fare, dal punto di vista della prevenzione medico-sportiva, per poter scongiurare altre morti improvvise, che hanno funestato il nostro calcio o altre discipline agonistiche? E’ sufficiente monitorizzare il cuore degli sportivi sottoponendoli in maniera costante ad ecocardiogrammi o a elettrocardiogrammi o ad altri preziosi e preventivi test medici? “Per scongiurare incidenti mortali nello sport, esistono dei dispositivi, che io uso da più di 2 anni nella Lazio, e che possono prevedere, grazie ai criteri di Seattle e al sistema SDS (Sudden Death Screening), con circa 10 anni di anticipo, la morte improvvisa in campo nei soggetti apparentemente sani”. Tamponi, test sierologici, trasfusioni ed infusioni di plasma prelevato da persone negativizzate (guarite) dal Covid-19: per contrastare la “peste del 2020” occorre solo attendere la scoperta, la somministrazione preceduta dall’organizzazione nella distribuzione, del benedetto vaccino? “Per uscire dalla “peste del 2020″, non bisogna aspettare il vaccino. Non c’è ancora, e non sappiamo quando sarà pronto, se sarà efficace e per quanto tempo ci potrà proteggere. La prevenzione resta l’arma migliore e, in caso di malattia, conosciamo la cura, ovviamente migliore di quella attuata all’inizio dell’epidemia. Inoltre, il virus è meno aggressivo e difficilmente letale”.

La vostra “fede” calcistica, dottor Pulcini, è l’SS Lazio: qual è il giocatore che in tutti questi anni di professione l’ha maggiormente colpito perché da lei considerato “un vero atleta” non solo in attività, ma pure nella condotta di vita, cioè fuori dal campo? Sia ben inteso che la vostra indicazione può benissimo cadere su un atleta di un’altra disciplina agonistica.. “Il giocatore che più mi ha colpito e che ha colto la grande opportunità dello sport per realizzare il suo sogno di Avvocato, e che non è mai venuto meno ai principi sani e nobili dello sport è Guglielmo Stendardo”. La Medicina dello Sport oggi in Italia: cosa occorre per renderla più efficace nella sua sfera soprattutto di prevenzione prima e di cura poi? E, come si colloca attualmente nella scala dei valori e dei meriti in Europa e nel mondo per preparazione, ricerca e professionalità? Insomma, ha fatto passi da gigante in questi ultimi 30-40 anni? “La Medicina dello Sport italiana è considerata la migliore del mondo. Siamo stati i primi in Italia ad occuparci della tutela sanitaria delle attività sportive, attraverso la legge 833/78 e a istituire la scuola di specializzazione in Medicina dello Sport, fino alla legge antidoping del 2000”.

Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it

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