Per l’uomo l’impossibile è qualcosa di irrealizzabile, qualcosa che non può essere fatto. Un obbiettivo che non può essere raggiunto in nessun modo. Ma siamo sicuri che sia realmente vero? Se analizziamo tutta la storia dell’umanità, scopriamo come l’uomo sia riuscito a compiere gesta che per altri, anni prima, era impossibile realizzare. Portare il primo uomo sulla Luna, costruire grattacieli alti quasi un chilometro, ricreare la vita in laboratorio, trovare cure per malattie mortali, volare e tante altre imprese che l’uomo ha scritto nella sua grande autobiografia, tappe fondamentali per l’evoluzione dell’uomo. Ma come fanno queste persone a compiere queste imprese? Semplice, ci vuole lavoro, sacrificio, costanza, sudore, passione, umiltà e forse anche un po’ di pazzia. Quindi forse non è così semplice come si pensava, soprattutto in una società attuale come la nostra, dove ormai con lo sviluppo della tecnologia siamo abituati ad avere tutto nell’immediato, senza molta fatica e pazienza.
Una società molto materialistica ed un dio denaro, il quale influenza molte volte il comportamento e le scelte dell’uomo. Se rivolgiamo questo pensiero allo sport, ci accorgiamo come lo status di questa società moderna sia entrato con forza anche in questo mondo, trasformandolo da genuino con forti valori di partecipazione e competitività, in un mondo lavorativo solo ed esclusivamente finalizzato al business, al dio denaro. Se guardiamo il mondo del calcio nello specifico, ed osserviamo il comportamento e le scelte della maggior parte dei giocatori, ci accorgiamo come la ricchezza e la fama, guidino fortemente le scelte e le carriere di questi. Le famose “bandiere” delle squadre sono diminuite in modo drastico con gli anni, fino si pensa ad un futuro molto prossimo, a scomparire.
Come possiamo invertire questa tendenza?
A parere mio bisogna partire dalla base, dai piccoli calciatori, quindi diventa fondamentale il lavoro di noi allenatori dei settori giovanili, i quali dobbiamo guidare ed insegnare questi valori, che con gli anni si stanno sempre più dissolvendo. Il nostro obbiettivo è quello di creare con questi ragazzi un clima positivo, dove l’errore è lecito, dove si insegna cosa vuol dire il sacrificio, dove il lavoro viene ripagato, dove ci sia il rispetto delle regole e dei compagni, dove si insegni calcio facendo appassionare i ragazzi ad uno degli sport più belli del mondo. Il primo ad insegnarmi questi valori nei quali credo fermamente è stato Luciano, il mio primo ed unico allenatore di calcio, avendo giocato per soli 3 anni. Arrivavo da uno sport dove i piedi non si usavano molto, il basket, ed iniziai ad approcciarmi al calcio nella squadra del mio paese, all’età avanzata di 13 anni.
Con lui ho “purgato” in panchina come dicono i calciatori, per ben due anni, giocando spezzoni di partite ma impegnandomi sempre a fondo in allenamento, per poi raccogliere i frutti del mio lavoro, il terzo anno dove ho compiuto una stagione da titolare. Questo è stato il primo segnale forte verso la crescita di quei valori radicati dentro di me, la base dei quali gettati dalla mia famiglia, dai miei genitori. Imparai cosi che il lavoro ripaga sempre prima o poi, e che se si desidera una cosa fino in fondo, nulla ti può fermare. Finita la terza stagione da giocatore, decisi non di “appendere le scarpe al chiodo” ma di spostarmi di qualche metro, fuori da quel rettangolo verde, delimitato da quella linea bianca, un po’ in disparte al di fuori delle attenzioni spasmodiche date ai giocatori, un po’ in ombra, umile: l’allenatore. Con questi valori possiamo quindi davvero compiere grandi imprese? Possiamo davvero realizzare i nostri sogni? Si.
Penso alle grandi imprese nel mondo del calcio, quelle dove tutti all’inizio dicono “non succederà mai”, dove alla base di esse ci sono questi valori. Per esempio, la vittoria in Premier League 2015-2016 di un allenatore non più di primo pelo e considerato da molti come un magnifico perdente. Costui non era mai riuscito a vincere un campionato in nessuna delle principali nazioni europee. Sto parlando di Claudio Ranieri del suo Leicester, delle sue Foxes e della sua incredibile stagione folle, culminata con la conquista del sogno, il titolo inglese. Una squadra il Leicester City, che nella stagione precedente, aveva evitato la retrocessione in Championship (Seconda divisione Inglese), e che aveva incaricato Ranieri di raggiungere di nuovo questo obbiettivo a fine stagione. Per tutta la stagione il mister romano, non ha mai ammesso in nessuna conferenza stampa la possibilità della vittoria di questo prestigioso campionato, neanche in quella del 23 Aprile, alla vigilia della 35^ Giornata (Leicester City-Swansea City). Alla domanda dei giornalisti sulla loro possibilità a 4 giornate dal termine di vincere il campionato, il tecnico taglia corto e risponde sorridendo “Hey man dilly ding dilly dong, We are in Champions League, We are in Champions League!”. Evidenziando così la qualificazione alla Coppa più prestigiosa d’Europa. Questa sua umiltà, nel compiere un passo alla volta senza inciampare, pensando ad una partita e ad un obbiettivo alla volta, trasmesso alla squadra, gli ha permesso di compiere l’impresa.
Altro capitolo dove Ranieri ha evidenziato tutti i suoi valori di passione, umiltà e senso del lavoro è stato nella fase conclusiva di questa stagione (2018-2019), di Serie A. Chiamato a guidare la Roma per la seconda volta, dopo l’esonero di Eusebio Di Francesco, per rilanciare una squadra sfiduciata, lontana dal raggiungimento del suo obbiettivo: il quarto posto in campionato, ovvero la qualificazione in Champions League. Come ha ammesso più volte in conferenza stampa, Ranieri ha accettato questo incarico senza pensarci due volte, per aiutare con tutti i mezzi a sua disposizione, la sua amata squadra e città. “La Roma mi ha chiamato ed essendo io tifoso sono venuto con tutto l’entusiasmo e la volontà. Finito questo, finisce il mio lavoro. Sono venuto in un momento di bisogno della mia squadra del cuore, finisce il campionato e finisce il mio lavoro.”La protagonista del finale di questa magnifica favola non può che essere l’umiltà. Si perché durante l’ultima partita all’Olimpico, il 26 Maggio (38^ Giornata), prima del fischio di inizio di Roma-Parma, Ranieri ha mostrato tutta la sua umiltà. Si è spogliato di quella giacca e cravatta che tanto rappresenta noi allenatori, mostrando a nudo e con coraggio la sua personalità anche fragile. Ranieri si è inchinato e ha pianto durante un tributo, contornato da uno striscione, offertogli dalla Curva Sud, dai suoi tifosi, dalla sua Roma.
Oppure penso alla storia di un altro allenatore poco vincente, ma che negli anni ha trovato la sua oasi, piazza ideale per esprimere al meglio il suo calcio, i suoi valori e i suoi principi. Gian Piero Gasperini e la sua Atalanta, la sua Dea, con la quale proprio al termine di questa esaltante stagione, ha raggiunto l’incredibile risultato della qualificazione alla coppa più importante in Europa. La coppa dalle grandi orecchie, la Champions League. Il compimento di un percorso iniziato da lontano ben 3 anni fa. La sua avventura all’Atalanta comincia nel giugno 2016, Il suo inizio stagione è negativo e dopo una sconfitta casalinga con il Palermo (0 a 1), con la squadra al penultimo posto, viene messo in discussione dalla società. Da quella partita l’Atalanta svolta, concludendo cosi il campionato ad un incredibile 7° posto e con il record di punti per la Dea nella massima serie. Una semifinale di Coppa Italia persa contro la Juventus nella stagione 2016-2017, un’eliminazione ai sedicesimi di finale in Europa League per mano del Borussia Dortmund, nella stagione 2017-2018, per concludere nella stagione 2018-2019, con una finale di Coppa Italia persa con la Lazio ed un terzo posto che vale il biglietto per la Champions League. Nonostante tutti questi record e risultati incredibili, l’aspetto più affascinante del percorso di crescita triennale dell’Atalanta è un altro: la costruzione di una mentalità vincente che partita dai princìpi di gioco, è arrivata a plasmare la consapevolezza dei giocatori, sicuri di poter riportare il risultato dalla propria parte in ogni momento, lavoro, sacrificio ed umiltà.
Ultimo ma non il meno importante, colui che consacra perfettamente i valori di lavoro, sacrificio, umiltà, costanza e passione: Maurizio Sarri, un uomo che ha lavorato più di 20 anni per raccogliere i primi frutti del suo lungo e difficile percorso. Sarri prima di iniziare la carriera da allenatore, lavorava in Banca, fino a quando più di 20 anni fa, come dice lui “Ho scelto di fare l’unico mestiere che avrei fatto gratis.”, un lavoro che a differenza del banchiere non dà garanzie. Pazzia? Forse un po’. In lui possiamo riconoscere quel valore di passione verso lo sport e il mondo del calcio, tale da rinunciare un lavoro ed una carriera sicura, sacrificio, pur di inseguire la sua passione. Partito dalla base, dalle categorie inferiori in Italia (Seconda Categoria), ha compiuto più di 20 stagioni da allenatore, passando attraverso promozioni nelle categorie minori, esoneri (molti in Serie C) fino ad arrivare a vincere l’Europa League, la scorsa stagione (2018-2019), con i Blues, con il Chelsea. Oggi ha l’opportunità di allenare la società che negli ultimi anni per strutture, risultati e personale, è la migliore per la qualità e fa da padrona in Italia. Una società capace di vincere 8 campionati consecutivi (record). La Juventus. Sarri è l’esempio lampante di come il lavoro e la costanza ripaghino sempre, ma con l’umiltà di ammettere che, il suo percorso è frutto anche della fiducia che le varie società hanno riposto in lui, durante la sua carriera e anche un po’ della fortuna.
Sarri rappresenta tutti questi valori, infatti come esso stesso ha ammesso è un duro lavoratore, tanto che studia anche 13 ore al giorno, perché per lui la conoscenza è fondamentale nel suo lavoro. Infatti, come ha riportato in un’intervista: “Tre doti di un buon allenatore?” “La personalità. La facilità di parola. E la conoscenza, che rende credibile le prime due. Io studio anche 13 ore al giorno”. La miglior immagine che può riassumere tutta la sua storia è questa: Sarri osserva la medaglia dell’Europa League appena conquistata. Tutto il suo lavoro, tutti i suoi anni di gavetta, le sue giornate passate a studiare, ad inventare schemi, tutti i suoi fallimenti e successi, racchiusi in quello sguardo. Lavoro, Sacrificio, Passione ed Umiltà, se i valori che abbiamo rispecchiano la nostra personalità, ben vengano i duri lavoratori, i passionali e gli umili. Allora esistono ancora questi sogni? Queste storie di follia dove tutto sembra possibile? Dove anche il dio denaro viene sconfitto? Si esistono ancora ed è bello crederci fino in fondo, trarre da esse che tutto è possibile se credi in te stesso e nel sogno che vuoi realizzare.“Succede, tanto è vero che succede. Ogni tanto, una volta nella vita.”
Matteo Zonta per www.pianeta-calcio.it
BIBLIOGRAFIA
Leicester, meglio una volta nella vita. Il piacere è inarrivabile di Massimo Gramellini, articolo tratto da La Stampa.
Roma, Ranieri: “Il mio lavoro terminerà a fine stagione”, articolo tratto da Sport Mediaset.
L’allenatore dell’anno: Gian Piero Gasperini, di Francesco Lisanti, articolo tratto da L’Ultimo Uomo.
Sarri: “Lavoravo in banca ma non alleno per caso, di Francesco Saverio Intorcia, articolo tratto da La Repubblica.
Il momento in cui ha conquistato i tifosi europei, Sarri non era in panchina, di Mario Di Ciommo, tratto da La Repubblica.