martedì, 22 Aprile 2025
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Francesco, la Tua morte ci ha preso in contropiede!

Liberissimi di non credermi! Quando ci è giunta la notizia della scomparsa di Sua Santità Papa Francesco, intorno alle 12.30, eravamo, per un saluto, sulla tomba del card. Achille Silvestrini, per tutti “don Achille”, nel cimitero di Brisighella (cittadina famosa per i suoi 8 “principi della Chiesa) di Ravenna, a un tiro di schioppo dalla fantastica Faenza, la cittadina romagnola famosa in tutto il mondo per le sue splendide ceramiche, e che ha dato i natali a mio babbo Sinibaldo, ex presidente della Virtus Borgo Venezia, pre-Gigifreschiana, ai nonni e alle mie zie materne. Il cardinale brisighellese, scomparso il 29 agosto 2019 (era nato il 25 ottobre 1923), ha deciso di riposare per sempre non all’interno della Basilica di San Pietro, nella Capitale, ma all’interno della cappella di famiglia. E’ stato compagno di classe di mio papà, al Liceo Classico “Evangelista Torricelli” di Faenza, ex “ala destra del Faenza, giocatore per eccellenza”, come solevano chiamare i tifosi biancazzurri romagnoli quell’aletta leggera, funambolica, con il soprannome di un personaggio del Boccaccio (“Cicicchio”), grazie al quale nascondeva la giovanissima età, da buon fuorilegge del “fubàl”; lui, pensate, figlio del Comandante della stazione dei Carabinieri di Faenza, Francesco; che assieme alla nonna Maria considerava il calcio come un luogo di pericolosa distrazione, fuorvianza, insomma, un rettangolo demoniaco e distrattivo per chi studiava e voleva già da allora diventare medico, altrimenti veniva indirizzato a fare il barbiere.

Già, mio babbo – 15 anni – capelli folti fermati non dagli avversari, nemmeno dal vento, ma dalla brillantina. Dotato di un doppio passo, che ripeteva, più avanti con gli anni, ai suoi amatissimi ragazzi virtussini della Prima squadra e di Prima categoria (i quali – pensate e basta come sono cambiati i tempi! – venivano sguinzagliati in tutto il popoloso rione che cresceva in mezzo a grandi aziende – Mondadori, Lanificio “Tiberghien”, Calzaturificio Rossi, Calzificio Cipriani, altre fiorenti realtà produttive – per poter ammassare sul furgoncino Ape della Piaggio più cartoni e ferro vecchio possibile per assicurarsi la maglia di lana rosso-blu, quella scelta, da mio babbo, tifosissimo del Grande Bologna, quella con le bande verticali rosso e blu), ebbene, imitando il doppio passo che rese celebre la punta Amedeo Biavati, “mostro sacro” degli scudetti del Grande Bologna degli anni 30-40, e con presenze pure in Nazionale. La sera del 13 marzo 2013 ero in piazza San Pietro ad assistere alla fumata bianca della sua elezione a nuovo Pontefice, successore di Benedetto XVI.

Ecco perché – vi chiederete – siamo partiti da così lontano per commemorare la scomparsa del “Papa degli scartati, degli ultimi”, George (onomastico il 23 di aprile) Bergoglio, tifosissimo di calcio e del suo San Lorenzo, anche il club argentino con i colori rosso e blu? Perché “don Achille” Silvestrini, il porporato brisighellese (eletto da San Karol Wojtyla), uomo di un’impressionante cultura ed intelligenza formatosi nella scuola Diplomatica della Santa Sede Vaticana (in cui fu anche insegnante e in seguito, addirittura, nominato Prefetto pontificio delle Chiese Orientali), a fianco dell’allora Segretario di Stato Pontificio, il “cardinale quattrossa ed 8 lingue”, il piacentino Agostino Casaroli, dopo aver combattuto per l’abbattimento del cosiddetto “Muro della Vergogna”, quello eretto a Berlino (e mandato in frantumi a colpi di rabbiosa piccozza nel novembre 1989), seguendo la via, la dottrina contenuta nella “trasparenza” (Glasnost e Perestroika, ossia trasparenza la prima, e politica, la seconda, incoraggiate entrambe dall’impareggiabile Michail Gorbacev) e per riaccendere di vita e di Vangelo le “Chiese del silenzio” sottoposte al giogo del plantigrado dell’Unione Sovietica di Leonid Iliij Brezniev, ebbene, fu proprio “don Achille” a suggerire, a battersi diplomaticamente fuori dal conclave per l’elezione di Papa Francesco, il pontefice meno tradizionalista, più innovativo, più “riformista” (cercando di mettere in pratica gli insegnamenti del “poverello di Assisi”).

Da parte nostra, non ci è mai stata occasione di avvicinare Papa Francesco, per chiedergli un’intervista: siamo sicuri che, toccando il calcio, lui si sarebbe entusiasmato a parlare della sua “squadra del cuore”, il San Lorenzo, al quale si è deciso proprio ieri mattina, appresa la notizia del ritorno alla casa del Padre del pontefice di intitolargli lo stadio. Ed, anche della sua natìa Argentina, di Maradona e Messi, anche se lui – come abbiamo appreso da un servizio televisivo – diplomaticamente si sarebbe smarcato, per non scontentare nessuno dei due assi mondiali e con grande diplomazia, indicando Mbappé. Allora, abbiamo pensato, visto che la scomparsa di un pontefice schiude inesorabilmente le porte del Conclave (dal latino: “cum clave”, cioé “con la chiave”, ossia chiusi a chiave; i porporati che eleggeranno il prossimo Papa) per poter dare un successore al massimo soglio pontificio, di riportarvi un breve colloquio del card. Pietro Parolìn, vicentino di Schiavon, da noi avvicinato appena Papa Francesco gli impose sul capo il berretto rosso, esattamente il 2 agosto 2014. Facendo anche attenzione che il 70enne porporato vicentino è (e non è stato, visto che continua a governare la Santa Chiesa assieme al potente card. camerlengo statunitense Kevin Joseph Farrell; pure lui tra i papabili, assieme a un altro italiano Matteo Zuppi, pres. CEI ed arcivescovo di Bologna, ed anche al molto quotato porporato filippino Anton Luiz Tagle, classe 1957) il Segretario di Stato Pontificio ancora con pieni poteri in questa fase di interregno. Al punto che viene indicato dagli esperti del “toto-papa” – per la sua mitezza, il suo equilibrio e per la sua riconosciuta nel mondo capacità diplomatica – uno dei successori di Francesco.

Questa la nostra intervista fatta al Cardinal Pietro Parolìn

Sono in pochissimi a sapere che l’attuale Segretario di Stato di Sua Santità Papa Francesco, il cardinale Pietro Parolìn, ha giocato a calcio in seminario in difesa. Nato a Schiavon, nel Vicentino, il 17 gennaio 1955, nominato arcivescovo da Papa Benedetto XVI il 17 agosto 2009, creato cardinale il 22 febbraio 2014 da Papa Giorgio Bergoglio, monsignor Parolìn, giovanissimo, ha prestato la propria opera presso le nunziature di Nigeria (dal 1986 al 1989) e Messico (dal 1989 al 1992), favorendo, nel Paese latinoamericano, il riconsolidamento delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Ha ricoperto lo stesso ruolo ed ha esercitato lo stesso incarico in Venezuela, si è occupato, in veste di nunzio apostolico, delle relazioni tra la Santa Sede e i Paesi asiatici, in testa, il Vietnam e la Cina, recandosi due volte – tra il 2005 e il 2007 – a Pechino. Il 31 agosto 2013 Papa Francesco lo nomina Segretario di Stato e succede così al cardinale torinese Tarcisio Bertone. E’ il più giovane Segretario di Stato dai tempi di Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII), il quale Pacelli assunse la carica nel 1930, a un solo mese dal compimento del 54mo anno; non solo, ma Sua Eminenza Pietro Parolin è il secondo Segretario di Stato di origini venete dopo il cardinale Giambattista Rubini, veneziano (1642-1707), in carica dal 1689 al 1691. Attualmente Parolìn è il più giovane cardinale italiano vivente: il più giovane dei porporati, oggi come oggi, è Baselios Isaac Cleemis Thottunkal, nato in India il 15 giugno 1959; precede, in questa speciale classifica, il filippino Luis Antonio Tagle, nato a Manila il 21 giugno 1957.

Eminenza, ha mai praticato sport da ragazzino? “Ecco, leggevo proprio quest’oggi, una lettera che mi ha mandato un mio ex prefetto che oggi è parroco della diocesi di Vicenza, “ricordo” dice in questa lettera “il ragazzo Pietro che non era molto atletico, però, si distingueva negli studi” e giù un bel sorriso da parte del porporato. Quindi, lo sport non mi ha mai attirato in modo particolare: l’ho sempre praticato anche perché in seminario, appunto, era obbligatorio praticare lo sport, giocare il calcio, ma, sempre senza particolari glorie”. In che ruolo ha giocato a calcio, anche se poco? “Huu, di solito, giocavo in difesa, sì, sì, sì”.

In un’ipotetica Nazionale dei pontefici, in che posizione del campo vedrebbe esprimersi meglio Sua Santità Papa Francesco?
“Mamma mia! Credo che lo farei giocare come attaccante: mi pare che lui abbia tutte le caratteristiche per segnare gol, e, quindi, lo vedo bene in questo ruolo. E’ un uomo di grande propositività, ecco, che veramente sta dando uno scossone alla Chiesa. Quindi, ipoteticamente in una squadra di calcio lo vedrei in prima linea. Poi, ultimamente, c’è stata tutta la questione della partita ai Mondiali di Brasile tra la Germania e l’Argentina, quindi, i ruoli, la simpatica rivalità dei due Papi, eccetera; però, io lo vedrei come attaccante”.

L’ha seguito il Mondiale brasiliano, Eminenza? “Ho visto qualche spezzone di partita. Il giorno della finale ero in Messico e, quindi, avevamo delle attività per cui non potevo seguire, vedere la partita”. C’è un giocatore che a giugno 2014, in Brasile, le è piaciuto? “Ah, no, non mi chieda suggerimenti”. Ha una “fede” calcistica, tifa per qualche squadra? “Una fede? In che senso?”. Ha una simpatia, segue anche se in maniera larvale una squadra? Lei è nato a Schiavon, magari il Vicenza, il club più rappresentativo della provincia dove lei è nato? “Ah bé, un tempo era il Vicenza; adesso credo che il Vicenza non brilli come una volta. All’epoca degli allori, sì, seguivo il Lanerossi-Vicenza: allora, sì, che eravamo una grande bella squadra. Poi, mi ricordo in seminario, soprattutto, l’antagonismo contro i veronesi, la gente, gli amici che erano qui, di queste parrocchie della diocesi, che apparteneva alla provincia di Verona. Allora, c’era molto molto molto tifo per le rispettive squadre, sia per il Vicenza che per il Verona”. In serie A, in quella fine degli anni Settanta scalpitava il “Real Vicenza” di mister Giovanni Battista Fabbri, dei vari Paolo Rossi, Faloppa, Filippi, Galli, Carrera, Lelj… “Eh, però, lei li ricorda molto meglio di me!”

Si parla tanto, a livello di Conferenza Episcopale Italiana, di ripresa e di rivalorizzazione degli oratori: può essere il calcio una sorta di “Ut unum sint” tra ragazzi di etnie e confessioni diverse? “Io credo di sì. Io credo davvero che il calcio contenga una valenza educativa, che deve essere approfittata, ecco, e messa a disposizione per la crescita integrale dei ragazzi, dei giovani. Anche recentemente il Papa in più occasioni ha sottolineato i valori che sono insiti nello sport sia per quanto riguarda la formazione personale, come affrontare la vita, come affrontarla insieme, no, perché è importante anche questo. Quindi, come aderire veramente ai valori autentici della vita, in questo campo, per esempio, con questo spirito di sacrificio perché lo sport comporta sempre un certo allenamento, una certa disciplina, no, ecco. Parole, queste, che oggi non si sentono molto più parlare, non circolano molto nei nostri ambienti; quindi, può essere davvero uno strumento educativo formidabile. Come lo è sempre stato e come lo hanno sempre utilizzato anche i grandi educatori nella Chiesa”.

Perché non organizzare, Eminenza, una partita all’insegna della pace, dell’amicizia, della distensione tra la Palestina e il popolo ebraico? “Ah, sarebbe l’ideale! Anche se esistono già esperienze di israeliani e di palestinesi che vivono insieme, ecco, che insieme lavorano, insieme operano per la pace. Però, se questo potesse realizzarsi, sarebbe certamente un sogno da coltivare”. Un saluto particolare al cardinale Achille Silvestrini, Vostro docente alla Scuola Diplomatica della Santa Sede? “Lo saluto con l’affetto di sempre e lo ringrazio per tutto il bene che mi ha voluto e per la fiducia che ha posto in me. Il Signore lo benedica!” Che ricordo ha del porporato quando era in cattedra? “Lui ha un grande senso della paternità, che ha manifestato, appunto, anche con Villa Nazareth. Io ho potuto, oltre che essere un diplomatico di prima, veramente, di prima qualità, perché credo che davvero aveva una visione anche dei rapporti della Chiesa con il mondo, che era veramente di un valore immenso”.

Ma, è vero, Eminenza, che è finita una certa Chiesa “convenzionale”, e ci troviamo di fronte a una Chiesa, grazie a Papa Francesco, molto più vicina agli ultimi della terra ed alle loro istanze? “Bè, ogni Papa porta nella Chiesa il suo stile, la sua personalità, e ogni Papa si sforza – e questo lo crediamo per Fede – di far sì che la Chiesa sia fedele al Signore. Ecco, certamente, in questa epoca, in questa situazione storica, Papa Francesco è veramente un grande regalo di Dio per scuotere la Chiesa, per renderla più vicina alle persone e per renderla più missionaria”. Tornando a noi uomini: possiamo dire che il rigore più clamorosamente mancato, o peggio non voluto calciare apposta è il rifiuto di amare e di invocare la pace nel mondo? “Sì, sì, questo è proprio il più grande sbaglio che si possa fare: dobbiamo credere, nonostante tutto, ecco, e dobbiamo credere non soltanto perché c’è buona volontà da parte degli uomini, ma soprattutto perché c’è lo spirito di Dio che ci guida. Quindi, il nostro impegno deve essere soprattutto quello di aprirci allo spirito di Dio che è spirito di pace e di riconciliazione”.

Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it, 2 agosto 2014

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