Ci siamo imbattuti, in questi giorni, in uno dei tanti allenatori che guidano le Prime squadre della nostra provincia, il quale – per comprensibili motivi – ha chiesto rigorosamente l’anonimato, ed abbiamo ritenuto valido riportare alcune sue considerazioni, le quali sicuramente potranno portare alla riflessione non solo i suoi colleghi, ma anche tutti gli addetti ai lavori (dirigenti di società, addetti alla Comunicazione). In buona sostanza, “mister x” – lo chiamiamo così il nostro interlocutore – metteva l’accento come i suoi colleghi con esperienza professionistica facciano fatica a farsi ascoltare, meglio, ad avere “vita lunga” nei nostri campionati: “I presidenti, o, al loro posto, i direttori sportivi, sono molto attratti dal richiamo della loro fama di ex giocatori professionisti, non facendo conto che il nostro mondo non è lo stesso, è fatto di tutt’altra pasta. Guidare un gruppo di atleti che alla sera arrivano al campo stanchi dopo una giornata di studio o di lavoro, non è impresa facile: bisogna calarsi nella mentalità di persone che non sono stipendiate nè riposate tutto il giorno per prestare la massima attenzione a chi li guida nel solo campo, quello calcistico. Se, poi, qualcuno è distratto, preso da altri problemi di casa, o di lavoro, nei dilettanti l’allenatore deve comprendere e sorvolare, senza farlo troppo pesare all’atleta, e rendere, nella fattispecie, la seduta atletica meno snervante possibile”.
La riflessione del fantomatico “mister x” si sposta poi sui giocatori, soprattutto quelli professionisti o che negli ultimi anni hanno ottenuto grossi risultati e che quindi hanno un peso specifico sul mercato, che, forti del loro grande bagaglio di esperienza, o anche loro scesi dalla sfavillante scala del professionismo, sono i veri protagonisti, i veri “wanted” di ogni calcio-mercato, ma, che, alla fine, non rendono quasi mai per il prezzo che una società ha dovuto sborsare per sperare di fare la differenza: “Se io presidente” precisa “mister x” “pago profumatamente una punta, in cambio mi aspetto che lui mi risolva tutti i problemi offensivi, anche se in verità in campo si va in 11 e più giocatori. Non solo, ma, all’atto dell’ingaggio, non riesci mai a scoprire se questi “pezzi pregiati” riescano a inserirsi a meraviglia nel gruppo, perché molti di loro restano sempre delle “prime donne”. Voglio dire che si fa sempre fatica, anche di primo acchito, o dopo una mezz’ora di conversazione, in sede di pre-acquisto, indovinare se quest’ex professionista o giocatore quotato è un uomo prima ancora che un atleta, o se punta – e questo accade nella maggior parte dei casi: inutile nasconderci dietro un dito! – a mettere in saccoccia gli ultimi lauti “rimborsi-spese”, paragonabili a veri e propri stipendi”.
Ecco che è meglio essere allenatori dilettanti, magari avendo anche allenato qualche anno le giovanili, per restare in sintonia, in perfetta simbiosi con il mondo dilettantistico, dove i galli nel pollaio non possono beccarsi tra di loro proprio perché non esistono differenze di trattamento economico, che, nella maggior parte di questi casi, si dimostra assai rilevante, determinante, decisiva e divisiva. Io, ad esempio, con il sontuoso rimborso-spese di 3-4 giocatori, mi potrei permettere una buona schiera di dilettanti, ma, la differenza, nelle nostre categorie, e non solo forse in queste (anche più in alto) la fa proprio l’intesa, l’armonia del gruppo, il saper remare tutti verso un’unica direzione, chiedendo al mister e ai giocatori stessi accettare i propri limiti, per poi ripartire con il piede pigiato sul pedale dell’acceleratore verso traguardi insperati, non programmati, e forse per questo più esaltanti. Perché è riprovato statisticamente che la squadra, e il mister, che partono senza il revolver puntato alla tempia, quello del risultato a tutti i costi da raggiungere (sottostante all’imperativo: “Tanto ti pago, tanto pretendo in termini di risultati!” e che rappresenta una delle prime cause di esonero! ), generalmente – ovviamente non in tutti i casi perché il calcio non è una scienza matematica – alla fine, questi gruppi e da un mister formati dai giocatori dai nomi non altisonanti, liberi come sono da pressioni di sorta, possono sviluppare un calcio più sereno e più redditizio”.
Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it