Si è spento all’età di 87 anni, all’ospedale di Gorizia, Bruno Pizzul, storica voce del giornalismo sportivo italiano che ha commentato diverse sfide della nostra Nazionale di calcio e condotto la Domenica Sprint e la Domenica Sportiva. Personaggio genuino, semplice che non aveva mai preso la patente e che nella sua Udine gli piaceva muoversi in bicicletta. Personaggio unico dalla voce inconfondibile spesso imitato. Vi riproponiamo la bella intervista fatta dal nostro direttore Andrea Nocini nel 2008.
Bruno Pizzul: “Non eroicizzate i telecronisti”
Un giornalista dalla carriera come la sua non è facile da presentare, ma ci proviamo. Bruno Pizzul (nato a Udine l’8 marzo del 1938) è una delle voci sportive storiche della RAI, in particolare della Nazionale italiana di calcio. Con lui abbiamo sofferto e gioito in 16 anni (dal 1986 al 2002) di telecronache appassionate, sì, ma sempre equilibrate, obbiettive, disincantate. Un professionismo serio, d’altri tempi forse, se paragonato a molte cronache sportive di oggi, urlate, tifate, spettacolarizzate, in ogni caso sopra le righe. Pizzul ha anche giocato da professionista, come centromediano, nel Catania, nella Cremonese e nell’Ischia, ma la sua carriera finì presto a causa di un infortunio al ginocchio.
Laureatosi nel frattempo in Giurisprudenza, dopo aver insegnato materie letterarie nelle scuole medie superiori fu assunto in RAI nel 1968, dopo avere vinto il concorso nazionale per radio-telecronisti. Nello stesso anno commentò la sua prima partita, Juventus-Bologna. Attualmente commenta per La7 le partite di serie A in pay-per-view sul digitale terrestre. Per la stessa emittente, dalla stagione 2007-2008, commenta le principali partite in chiaro della Coppa Italia. Il nostro direttore Andrea Nocini lo ha intervistato telefonicamente nel corso della trasmissione Pianeta-Calcio, la versione radiofonica del nostro sito www.pianeta-calcio.it in onda ogni domenica su Radio Universal.
Nocini: Laureato in Giurisprudenza, aveva iniziato a insegnare Lettere.
Pizzul: “Sì, esatto, tanti anni fa. Poi mi è capitata un’opportunità, io non avrei mai pensato di diventare giornalista sportivo. Mi hanno, per così dire, trascinato a fare un concorso alla Rai, sono stato assunto e mi sono ritrovato a fare per tanti anni questo tipo di lavoro del tutto particolare.”
Nocini: Lei è stato anche un valente calciatore del Catania.
Pizzul: “Beh, valente, ho provato a giocare a calcio a Catania, a Trieste e da qualche altra parte, ma il talento era inversamente proporzionale alla passione. Però ho maturato delle esperienze, giocando sul campo, che poi mi sono tornate utili nella professione che ho svolto.”
Nocini: Qual è stata la notizia o il commento che non avrebbe mai voluto fare nella sua splendida carriera alla Rai?
Pizzul: “Fin troppo facile rispondere, è una domanda che io temo sempre che mi venga fatta, perché a me è capitato di dover, in occasione di una partita di calcio, una strage avvenuta, quella dell’Heysel. Quello è un ricordo angoscioso, non tanto a livello giornalistico quanto a livello umano, che invano cerco di cancellare dalla mia memoria.”
Nocini: Invece il momento più emozionante, più toccante?
Pizzul: “Come si fa a dirlo, io ho fatto tantissime telecronache e fare graduatorie di quel tipo è anche abbastanza difficile. È un tipo di lavoro che ti coinvolge di volta in volta, c’è sempre una piccola scarica di adrenalina, di partecipazione emotiva. In genere le cose che ti restano più dentro si hanno quando c’è un coinvolgimento anche di carattere ambientale, più che relativo alla partita, quando c’è un bel pubblico, quando la situazione è gradevole anche sotto il profilo climatico e via dicendo. Poi le partite, naturalmente, ti danno queste scariche di emozioni e di tensioni, ma finiscono per lasciare delle tracce non profondissime.”
Nocini: Moggiopoli, il grande tsunami che ha travolto il calcio italiano, è passato oppure è ancora in convalescenza?
Pizzul: “Non è passato del tutto. Era un bubbone, che è esploso in maniera virulenta con delle situazioni imprevedibili. Impropriamente si continua ancora a definirlo Moggiopoli perché, se è vero che in qualche modo la figura di Moggi era la figura centrale, è altrettanto vero che il fatto più scandaloso non sia stato tanto Moggi che faceva il Moggi, quanto piuttosto gli altri che gli tenevano il sacco, che erano alla presidenza federale o alla designazione degli arbitri e via dicendo. Che Moggi fosse un uomo molto astuto, capace di tessere trame e creare alleanze, lo sapevano tutti. Gravissimo il fatto che quelli che lo dovevano sorvegliare perché non uscisse dai suoi limiti di competenza, invece, fossero quelli che gli hanno dato una robusta mano.”
Nocini: qual è l’autogol più clamoroso di Bruno Pizzul a livello di telecronista?
Pizzul: “Chi lo sa, sono talmente tanti. Io avrò fatto 3-4 mila telecronache, non potete chiedermi quale cosa mi ricordo di più o di meno! Avendone fatte così tante avrò fatto seimila autogol, quindi come faccio a ricordarmi il più grande. Anche perché io ho sempre tentato di fare questo tipo di lavoro senza eroicizzarlo, senza prenderlo troppo sul serio. È un lavoro gradevole, che ti dà una inevitabile visibilità perché c’è tanta gente che ti ascolta, ma è un tipo di lavoro come tanti altri, che quindi non ti deve indurre a dire “oh, cosa ho fatto, quando l’ho fatto, dove l’ho fatto.” Lo si fa con il piacere di farlo, perché è un mestiere che ti consente di stare vicino allo sport e se sei appassionato di sport è una bellissima cosa, ma deve anche essere un mestiere come tanti altri, che non è il caso di eroicizzare.”
Nocini: Qual era il suo ruolo quando lei vestiva la casacca degli etnei?
Pizzul: “Giocavo da centromediano, un vocabolo che adesso non si usa più nel calcio. Era una specie di difensore centrale che marcava a uomo il centravanti avversario.”
Nocini: Fa prima Bruno Pizzul a conseguire la patente dell’auto oppure a nascere un’altra stella del telecronismo RAI?
Pizzul: “Sicuramente la seconda ipotesi è quella più plausibile, perché io la patente non l’ho mai presa fin’ora e sicuramente non ho nessuna intenzione di prenderla da qui in avanti.”
Nocini: Niccolò Carosio le aveva suggerito uno stratagemma, una sorta di alibi o difesa abbastanza interessante, di quelli invalicabili, se lei avesse mai sbagliato qualche telecronaca o qualche commento.
Pizzul: “La prima volta che incontrai Niccolò, che era un personaggio straordinario, lui dopo un po’ realizzò che avrei voluto fare anch’io quella carriera e mi disse: guarda, anche nella malaugurata ipotesi tu fossi astemio, quando sei in pubblico fatti vedere sempre con un bicchiere di vino o di whisky davanti, perché con il mestiere che vuoi fare qualche stupidata la dirai sicuramente, almeno potranno dire che hai bevuto, altrimenti non avresti nessun altro tipo di alibi. Era un modo molto simpatico per dirmi: guarda, fai un tipo di lavoro che magari molti osserveranno e valuteranno, ma tutto sommato è un lavoro che non vale la pena di prendere troppo seriamente.”
Nocini: Si è mai commosso in diretta, oltre a quella notte dell’Heysel in cui perirono trentanove tifosi della Juve?
Pizzul: “Sì, qualche momento di commozione c’è stato, ma non per eventi di carattere strettamente agonistico. Per un grave infortunio capitato a un giocatore, per situazioni particolarmente toccanti sotto il profilo degli affetti famigliari, come un giocatore che scendeva in campo anche dopo un lutto famigliare. Ma per quanto riguarda, invece, la commozione fino alle lacrime per fatti legati all’agonismo, questo no.”
Nocini: E’ vero che un buon telecronista deve saggiare il campo, cioè andare a vedere i giocatori anche mentre sono in borghese, o comunque mentre stanno facendo il riscaldamento? E’ una tattica vecchia.
Pizzul: “E’ una tattica vecchia che porta sempre i suoi frutti, anche se il terreno di gioco diventa non sempre facilmente accessibile. I calciatori, fino a qualche anno fa, avevano coi giornalisti dei rapporti anche abbastanza amichevoli, oggigiorno invece i settori sono abbastanza separati e si va ognuno per conto proprio.”
Nocini: Hellas Verona nel baratro, Chievo che ritorna in Paradiso. Qual è la sua prima impressione?
Pizzul: “Io ho sempre sostenuto che uno dei momenti più importanti nella storia del calcio italiano, di quelli che dovrebbero essere sottolineati maggiormente, è quando l’Hellas Verona ha vinto lo scudetto, perché è un fatto epocale. Anche altre squadre non metropolitane avevano vinto lo scudetto, tipo Cagliari o Sampdoria, ma vedo sempre alle spalle delle realtà del tutto particolari. Il Verona, invece, vinse uno scudetto straordinario con pieno merito, a testimonianza del fatto che possono anche succedere cose di questo tipo. Il fatto che, dopo di allora, la situazione sia così brutalmente precipitata al peggio per l’Hellas Verona mi fa francamente molto molto dispiacere. Al contempo, invece, è da elogiare in massimo grado il Chievo Verona. Io temevo che il Chievo, dopo la retrocessione dello scorso campionato, fosse destinato un po’ a scivolare verso il basso, invece ha fatto un campionato di serie B straordinario, a testimonianza del fatto che c’è dietro non soltanto il piccolo e bello, ma anche un’organizzazione , una struttura societaria, una capacità di gestire il tutto veramente al massimo”.
Nocini: Le lancio lì dei nomi, sul tappeto verde del calcio. Garrincha, Pelè, Di Stefano, Meroni, Zigoni, Maradona. Se la incaricassero di scrivere un libro su uno solo di questi, chi sceglierebbe?
Pizzul: “Non è facile rispondere. Probabilmente lo scriverei su Pelè, perché impersonava non soltanto il grandissimo calciatore ma, in qualche maniera, anche un bell’atleta, ben strutturato, che in campo manteneva sempre un comportamento straordinario. Ma non è facile, anche Di Stefano, lo stesso Maradona. Maradona però era troppo fuori dagli schemi per poterlo definire un grandissimo calciatore, riusciva a fare delle cose contro natura anche se era piccolo brutto storto, e faceva delle cose eccezionali. Pelè invece era un bell’atleta anche sotto il profilo estetico.”
Nocini: Lei è alto quasi due metri. Facciamo dei paragoni un po’ arditi con il passato: centromediano alla Eraldo Pecci, alla Bagni o alla Pasinato? Non certamente alla Furino, che era piccolo.
Pizzul: “Nessuno di quelli che ha citato ha giocato da centromediano, hanno giocato tutti da centrocampisti! Quella del centromediano sul centravanti era una marcatura a uomo, quello che adesso è il difensore centrale, solo che adesso giocano marcando lo spazio anziché l’uomo e ogni tanto si dimenticano che a fare i gol sono gli attaccanti e non lo spazio. Però è un tipo di calcio completamente diverso.”
Nocini: Un suo idolo? Ha avuto un idolo da ragazzino, quando giocava nel Catania?
Pizzul: “Non è che abbia giocato solo nel Catania, ho giocato anche da tante altri parti. Io ero un tifoso del grande Torino, quindi per me un mito era Valentino Mazzola.”
Nocini: Che consiglio può dare ai due giovani giornalisti che ho qui vicino a me, Luca Corradi e Alessandro Gonzato?
Pizzul: “Di avere tanta pazienza. So che la carriera di giornalista, soprattutto sportivo, è molto ambita dai giovani. C’è grandissima concorrenza, gli editori sono abbastanza feroci e spregiudicati nello sfruttare la manodopera giovanile, quindi li invito ad essere molto pazienti e coltivare questa loro passione nel giusto modo. Però, francamente, è un momento abbastanza difficile. Io non è che possa dare dei consigli particolari, perché come ripeto non ho mai avuto nessuna intenzione di fare questo tipo di lavoro: Radio Trieste bandì un concorso al quale non si presentò nessuno. Allora mandarono delle lettere nominali di invito, andai a vedere cosa volessero e da lì mi dirottarono verso un concorso per radio telecronisti, dove finii per essere assunto. Però in modo assolutamente fortuito e casuale. Io ho fatto così, ma non credo che possa essere una soluzione praticabile dai giovani di adesso.”
Nocini: Abbiamo avuto nella Nazionale Azzurra grandi C.T. suoi corregionali, come Bearzot, Capello, Del Neri. Qual è la nazionale di Bruno Pizzul?
Pizzul: “Bisogna andare un po’ all’indietro, perché fino a una ventina di anni fa il Friuli Venezia Giulia dava 60-70 giocatori tra la serie A e la B, adesso ce ne saranno due o tre, forse Godeas e pochi altri. Adesso i giovani friulani fanno altri sport, e per noi vecchi pallonari è un piccolo dispiacere. Però è una forma di arricchimento culturale e sportivo se non si dedicano solo al pallone ma anche ad altre discipline sportive. Comunque l’area triestina ha dato molti tecnici, è vero.”
Nocini: “Paron” Rocco.
Pizzul: “Paron Rocco, poi Valcareggi, Cesare Maldini. Quindi è una regione di grande tradizione calcistica. Ultimamente si vede che i giovani giocano un po’ meno a pallone.”
Nocini: Un voto e un tipo di vino per questa intervista.
Pizzul: “Io qui sono molto partigiano, sono un bianchista convinto: direi il Tocai, che è un ottimo bianco. Di recente rischia di perdere il nome, ma ormai gli italiani hanno imparato a conoscerlo anche se si dovesse chiamare in un’altra maniera, e continueranno a sceglierlo. Per il Tocai 7 e mezzo, non per l’intervista.”
Nocini: L’intervista sarebbe da 4, perché ho sbagliato sul centromediano!
Pizzul: “No, è proprio per non dare il senso dell’autocelebrazione.”
Nocini: Ha ragione, per tenere le distanze. Grazie Bruno!
Pizzul: “Grazie a voi e buon lavoro!”
a cura di Luca Corradi, luglio 2008
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