Da più di 40 anni, Luca Fortini, classe 1958, segue il nostro calcio dilettantistico, con trascorsi giovanili anche come arbitro. Ed è anche lui uno degli addetti ai lavori che sta osservando lo scadimento del nostro football, a partire dall’Eccellenza in giù, per non parlare anche della serie D o, addirittura, della serie C professionistica. Fortini, fratello maggiore di Gastone, punta della classe 1962 della Primavera dell’Hellas Verona di Carletto De Angelis, in questi decenni ha anche ricoperto – richiestissimo, visto la sua grande passione che lo spinge a seguire durante i 365 giorni non solo le Prime squadre, ma anche le forze giovanili (lo abbiamo incrociato migliaia di volte!), da alcuni nostri club – il ruolo di direttore sportivo, se non quello di consulente tecnico, come lo si ama definire oggigiorno. E, la sua lente sul nostro calcio pone in risalto alcune lacune, cercando di offrire altrettante soluzioni a un mondo che, dopo la batosta inflitta dalla pandemia, ha sicuramente perso un pochino di qualità. “Recentemente” commenta Fortini “sono andato a vedere una partita tra squadre Primavera di club professionisti e non ho in 90 e più minuti visto – nella fase offensiva – un giovane puntare direttamente l’avversario per poi andare sul fondo e crossare al centro. Oggi, si fanno i situazionali, il nostro calcio non vive più dell’uno contro uno: solamente schemi, tattiche, ma, di tecnica, forche, triangoli, non se ne vedono più la benché minima traccia”.
“Non solo” rincara la dose della sua osservazione “ma, quando c’è da calciare forte e lungo, siamo i primi a farlo, mentre quando è richiesto l’appoggio, anche il semplice passaggio al compagno che ti ruota attorno, questo risulta sghimbescio al punto che il tuo compagno – privo del passaggio pulito – ha difficoltà a controllare la sfera”. Che l’abbiccì del calcio sia andato in soffitta, bèh, questo non costituisce una novità: per non parlare dei falli laterali, effettuati in tutte le maniere e su cui la terna arbitrale è abituata a sorvolare (così come, a volte, sulla bestemmia). “Il calcio di adesso” aggiunge Fortini “è figlio di una decina di anni di Settore Giovanile in cui i nostri ragazzi sono a digiuno di tecnica, per cui una volta approdati alle categorie superiori – Eccellenza, Promozione ed anche serie D; e in queste categorie finiscono gli ex Primavera o ex Under 19-18 – non sono dotati della base tecnica”. “I genitori dei nostri ragazzi, a differenza di quelli degli anni 80-90 – imparano tutto quello che richiede il calcio – regolamenti, comportamenti, e confidano in un avvenire del figlio dopo una decina di anni di anticamera di giovanili professionistiche. Moltissimi sprofondano, assieme ai loro ragazzi, nella delusione che le loro creature confluiscano, anziché in serie B, in serie C o in serie A, in Serie D, in Eccellenza o in Promozione. E, in tutti questi anni di apprendistato giovanile-calcistico non si accorgono che se ne sono andati alle ortiche mesi e mesi di possibilità di apprendimento della tecnica e dei fondamentali del football. Non solo, ma la prima preoccupazione di papà e mamma è interessarsi di questo o quel procuratore, al quale affidare il proprio ragazzo, ignari che la maggior parte di tali operatori producono solo danno ai loro amati atleti, cercando di raggiungere prima di tutto i loro interessi. Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di calciatori di 12-13-14 anni che devono avere un loro procuratore!”.
Nei nostri dilettanti, Luca, dall’Eccellenza fino alla Promozione, per non parlare anche della Serie D, molte società che sono disposte a investire, che “possono”, non ottengono il risultato sperato, anzi, rischiano di andare incontro a fallimenti impregnati di tanta delusione. “Queste società, chiamiamole così ambiziose e “benestanti” economicamente, sono solite cambiare 2-3 allenatori a stagione. E, sai perché? Perché non conoscono i tanti giovani, i tanti fuori-quota che la Figc impone di schierare: tanti direttori sportivi non conoscono queste quote, li prendono “a scatola chiusa”. Oppure, sempre parlando dei diesse o dei cosiddetti consulenti tecnici, chiedono informazioni e consigli all’amico dell’amico, basandosi così sulle risposte che ricevono. Ma, mi domando: come si fa a contare su una giovane quota se non si è mai andati a vederla, non la si conosce? E, i nostri presidenti si rendono conto di questa pecca, di questa lacuna? Dovrebbero riconoscere meno rimborsi-spese ai mister, ed investire di più, non dico alla pari dei professionisti su una sessantina di scouting, ma almeno su 1-2 di queste preziose figure. In tal modo, le nostre società eviterebbero il mancato raggiungimento di obiettivi ambiziosi”.
Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it