Non avrà fatto più strada nel calcio, lasciato dopo aver conseguito nel 2013 la laurea in Ingegneria ambientale, ma adesso, lui, Tommaso Ferrari, classe 1988, ex “puntero” di Cadore, Pedemonte, A.C. San Zeno Vr e Quinzano, insegue altri…Traguardi (è la lista nella quale è stato eletto nel 2017 Consigliere Comunale di Verona). In campo, quando partiva, palla al piede, per puntare verso le aree avversarie, le più invalicabili, e scagliare il potente destro, lo riconoscevi subito per via della zazzera alla nazareno, la capigliatura folta che ancora oggi ama portare: “Sono approdato al Pedemonte a 18 anni, dopo la parentesi vissuta nel Cadore, convinto da mister Rinaldo Zantedeschi, coach cadorino, che ben mi conosceva: ho bagnato il debutto, in Prima categoria, firmando a Fosse, in casa del Sant’Anna d’Alfaedo di Damiano Tommasi (“colonna” dei bianco-granata di lassù), una memorabile doppietta, che ha fruttato il colpaccio in casa dei “falchi della Lessinia”. Quando ho rivisto, qualche tempo fa, l’ex Nazionale e romanista, gliel’ho fatto presente, anche se una “perla” del genere potevo, comprensibilmente, ricordarmela soltanto io. Negli anni vissuti con i bianco-rossi valpolicellesi, ricordo il presidente “Cecco” Farina, la sua immensa passione per il calcio: durante la settimana, specie quando faceva freddo, seguiva gli allenamenti all’interno della sua Fiat Panda”.
Ma, anche della parentesi con i sanzenati, Tommaso serba ottimi ricordi: “Chi può dimenticare il fascino della “busa”, la carica di mister Marzio Menegotti (l’ho avuto 2 stagioni), gli amici Luca Grigolo, capitan Riccardo De Pizzol, Adrian Ionita, la passione del presidente Gianfranco Casale: era, alla pari di Cecco Farina, un “presidente di cuore”, che viveva a 360 gradi la realtà calcistica, che facevano di tutto pur di vederti in campo alla domenica. Entrambi sono stati due splendidi presidenti di una volta, di un calcio che, ahimè, non torna più, perché ho saputo che molto è cambiato oggi”. Un’altra maglia granata nella bacheca dei ricordi del giovane politico veronese: “Ah, il Quinzano: ho fatto appena in tempo a giocare nel terreno di gioco ancora di proprietà dei rionali, prima che la gestione passasse alla Pol. Borgo Trento. Avevo smesso col calcio, dedicandomi solo alla guida, in coppia, degli Allievi del Cadore. Mi aveva convinto a tornare a indossare gli scarpini “El Dunga”, Diego Bertani, un altro grande appassionato della pelota. Ma, non giocai più in attacco, bensì come centrale difensivo; e, dopo poco mi fratturai un piede!”
Nella sua cineteca, anche un rigore che non doveva essere sbagliato: “Sempre col Pedemonte, abbiamo sostenuto per il secondo anno di fila la finale dei play off, per salire in Prima categoria: dopo averla persa l’anno prima contro la Montebaldina, l’edizione successiva ci trovammo a giocarci l’ultimo treno dei ripescati come play offers contro il Poleo Aste; ebbene, fallii proprio io l’ultimo dei rigori ad oltranza, non ti dico quanto fiele mandai giù!” Tommaso, ma non ti è mai venuta la voglia di tornare in campo? “Sì, ma non sono più riuscito a conciliare il lavoro, gli allenamenti, la vita privata (sono fidanzato) e la politica”.
Il calcio dilettantistico, da quando sei uscito, è cambiato? “Guarda, io le notizie le apprendo da vecchi compagni di squadra, vedi Emanuele Fornalè, Giuseppe Speri, Luca Mignolli, mio collega ingegnere. In generale il calcio in tivù mi ha un po’ deluso, lo seguo poco. Nei dilettanti non esistono più, come una volta, le “bandiere”, i “fedelissimi” li conti sulle dita di una mano. C’è un po’ più di esaltazione, di pretese economiche in chi è maggiormente attrezzato dal punto di vista tecnico, la vera gioia di giocare è un gradualmente e mediamente venuta a meno. Ma, è sempre l’impressione di chi, chiamato a guardare indietro, vede sempre il peggio. Preferisco ricordare gli anni di bambino, sempre al “Santini”, quando davvero mister “Steno” ricopriva quel fondamentale ruolo di educatore prim’ancora che di insegnante dell’abbiccì del calcio”. Il Coronavirus lascerà segni profondi oltre che nell’economia anche nel nostro calcio dilettantistico? “Stiamo vivendo una situazione molto delicata, terminata la quale – speriamo il prima possibile – tutti noi dovremo interrogarci su tante cose, sia dal punto di vista sanitario che economico. Il calcio territoriale e dilettantistico non deve assolutamente sparire perché costituisce l’identità di una comunità, riveste un alto valore sociale. Mi augurano che sopravvivano alla crisi generata dal virus che stiamo subendo imprenditori audaci, filantropi, generosi, disposti ancora a investire sul calcio di paese, di borgata. E, che il Governo metta a disposizione fondi per la ripartenza di tutto il nostro calcio. Certo, il post pandemia mi preoccupa non poco!”
Andrea Nocini per www.pianeta-calcio.it