domenica, 24 Novembre 2024

Oggi

È morto Gianni Mura, colui che ha scritto pagine memorabili dello sport e dell’Italia

Il giornalista e scrittore, che dal 1976 era la storica firma di Repubblica, si è spento questa mattina all’ospedale di Senigallia all’età di 74 anni, a causa di un attacco cardiaco. Gianni Mura era nato a Milano nel 1945 ed ha scritto pagine memorabili sullo sport e l’Italia passando dal calcio al ciclismo ed altri argomenti importanti. Ha anche scritto molti libri, nel 2007 ed è stato uno dei più grandi scrittori sul Tour de France. Ha dato vita a rubriche, molto seguite su Repubblica, su svariati temi. Venerdì 7 settembre 2007 anche il nostro direttore di testata Andrea Nocini intervistò Mura e noi vi riproponiamo il suo simpatico incontro col famoso giornalista-scrittore.

Il Gianni… Extra Muras: “la liberta’? E’ non scrivere quello che ti dicono di scrivere”

Invitato a Monteforte d’Alpone come ospite nell’ambito della rassegna “Sorsi d’Autore” lo scorso venerdì 7 settembre, Gianni Mura è stato intervistato dal nostro direttore Andrea Nocini che, ovviamente, non si è fatto sfuggire questa occasione per avvicinare un altro grande personaggio del giornalismo italiano. Il giornalista milanese, classe 1945, è infatti una delle firme più prestigiose del quotidiano nazionale “La Repubblica” dove, dal 1983, tiene ogni domenica la sua rubrica di maggior successo, i “Sette Giorni di Cattivi Pensieri”, cantandogliele eccome ai troppi mali del calcio professionistico e soprattutto agli straricchi “signori” del pallone nostrano. Personaggio di grande umanità e a dir poco controcorrente rispetto ad un giornalismo sempre più urlato e spettacolarizzato, Gianni Mura ha dato prova di grande disponibilità, concedendo al nostro direttore un’intervista di oltre mezz’ora presso il “Grand’ Hotel” che lo ospitava.

“Gianni Mura” – chiede subito Andrea Nocini – “una domanda che forse non le hanno mai fatto: lei a calcio ha mai giocato?” “Sì” – risponde il giornalista milanese – “giocavo all’oratorio, se portavo il pallone. Anche se non sono mai stato magro. A quei tempi mi chiamavano “Corso rovesciato”, perché avevo solo il destro, però tagliavo bene le punizioni. Quindi direi che, come Corso, correvo poco e avevo un buon piede. Ho smesso attorno ai 15 anni.”

“Il mito calcistico di Gianni Mura…” prosegue Nocini. “Mah, io credo che la parola “mito” sia ingombrante, vale quando si è molto giovani” – osserva Mura, confermando la propria volontà di mantenere i piedi ben saldi a terra in materia di sport – “per cui quando io ero bambino il mio mito era Angelillo, attaccante italo-argentino dell’Inter, poi fatto fuori con dei pretesti abbastanza meschini da Herrera, e questo segnò il mio passaggio da tifoso dell’Inter a tifoso del Milan, nel ‘59.”

“Se lei avesse potuto giocare a calcio” – Nocini non molla – “quale giocatore le sarebbe piaciuto di più personificare?” “In quei tempi noi cercavamo di copiare soprattutto i gesti tecnici, era quello che ci colpiva di più” – ricorda Mura – “Mentre oggi si potrebbe anche rispondere legittimamente Gattuso, allora per noi quello che era bello erano i tunnel di Sivori, i gol di Altafini…quindi quello che colpiva di più era il giocatore di tecnica più che di sostanza, quello che faceva dei numeri che poi si cercava di imitare, tipo il passo doppio, o quello che oggi si chiama sombrero, e che noi chiamavamo pallonetto, il colpo sotto, che non si chiamava ancora cucchiaio…” “Passo doppio” – interviene il nostro direttore – “che ricordo appartenesse a un giocatore del Bologna e della Nazionale, Amedeo Biavati…” “Sì” – conferma l’interlocutore nociniano – “Biavati è stato quello che l’ha brevettato, e poi ha avuto una discreta fortuna in giro per il mondo, anche qualche argentino di recente (penso a Crespo, a Gonzalez) si è esibito in questo colpo.”

Nocini incalza. Ecco una delle sue domande più rappresentative: “C’è un autogol clamoroso nella creazione artistica di Gianni Mura?” Ma il giornalista di “Repubblica” ci tiene alla precisione. E all’umiltà: “Andrebbe rifatta la domanda” – spiega, con il consueto tono calmo e pacato – “perché io non faccio creazioni artistiche.” Il direttore di www.pianeta-calcio.it aggiusta la mira: “Allora, rimanendo nel rettangolo di gioco di Gianni Mura” – si corregge, pronto – “c’è una sua autorete, giornalisticamente parlando?” “Ce n’è uno” – dice Mura – “ma è collettivo, e risale alle Olimpiadi in Germania, quelle di Monaco, quando ci furono gli atleti israeliani uccisi. Lavorando in Gazzetta, a un certo punto bisognava chiudere il giornale perché se no non arrivava, e sembrava che fosse arrivato a prenderli un elicottero e che fossero tutti salvi, per cui il direttore disse “Basta, facciamo il titolo TUTTI SALVI e ce ne andiamo a cena”, questo verso mezzanotte. E poi invece non si salvò nessuno.” “La famosa banda di “Settembre Nero”…” precisa Nocini. Il nostro direttore sarà anche irruente e parlerà pure a voce troppo alta, come lo stesso giornalista gli farà subito notare, ma non si può certo dire che non sia preparato… “Esatto” – conferma infatti Mura – “era il 1972.”

Nocini inverte poi la rotta: “Un pezzo che invece le è riuscito bene” – chiede – “un bel gol all’incrocio, un tunnel alla Sivori fatto dalla sua penna…” “Credo che il pezzo che mi sia riuscito meglio” – sceglie Mura, senza pensarci molto – “sia quello in morte di Gianni Brera. Anche per le condizioni particolari in cui l’ ho scritto e per il poco tempo che avevo a disposizione, perché era la mattina di Malta-Italia e mi hanno svegliato alle sei dall’Italia per dirmelo, prima mia moglie, poi Scalfari ma ormai ero già sveglio. Alle 11 e mezzo il pullman partiva per andare allo stadio, quindi, l’ ho scritto quasi in trance. Nonostante questo, a distanza di tempo non toccherei una virgola. Ma era come se scrivessi sotto dettatura, in un certo senso.”

Si parla di Brera, e per il nostro direttore l’assist è troppo allettante per non raccoglierlo: “Lei involontariamente ci porta ad un grande maestro del giornalismo, Gianni Brera. Secondo lei, è un’ombra su Gianni Mura oppure uno stimolo continuo?” “No, un’ombra sicuramente no” – riflette Mura – “uno stimolo sì. Anche se è assolutamente sbagliato considerarmi l’erede di Brera. Ci sono dei punti in comune, a cominciare dalla barba, il naso, la passione per il vino e le carte, ma Brera era molto molto più preparato di me e con un bagaglio stilistico decisamente superiore. Io ci ho lavorato assieme, l’ho frequentato molto, ho imparato da lui soprattutto che bisogna scrivere in assoluta indipendenza. In questo senso l’eredità la accetto, per il resto la rifiuto.”

“A lei piace giocare anche a briscola?” l’altalenante saliscendi tra argomenti seriosi ed altri invece più leggeri è una delle specialità più prelibate del menù nociniano. “Preferisco scopa, veramente.” ribatte Mura. “Il Noce” insiste: “Il re di denari chi è nel mondo del calcio, ora come ora?” “Se parliamo di gente straricca nel mondo del calcio direi Abramovich” – risponde il giornalista milanese – “o in Italia Moratti e Berlusconi, da questi non si esce. Ma a me, nello sport, interessano di più i re di cuori.”

Altra brusca sterzata di Nocini: “Tornando a Brera” – premette – “le chiedo questo: il genio è malinconico?” “Il genio può essere malinconico” – dice Mura – “può essere allegro, può anche essere normale. Per esempio, oggi, a parte che l’ha scritto anche Dalla in una canzone, l’impresa eccezionale è essere normali, secondo me.”

Classica, inevitabile domanda in puro stile nociniano: “Un avvenimento sportivo che l’ha particolarmente commosso…” La risposta è un riconoscimento, una carezza alla nostra città: “Direi che tutta la parabola del Chievo, a parte la retrocessione, mi ha molto intrigato sentimentalmente. Soprattutto il primo anno, non tanto l’ingresso in Coppa dei Campioni. Perché per predicare un altro calcio tutti hanno bisogno di esempi, e questo era un esempio sotto gli occhi di tutti, che era bello citare. Col Chievo in B è più difficile. Inoltre, anche una certa leggerezza del gioco, certi valori che ci sono sul campo erano più facili non dico da propagandare, ma almeno da additare quando Zola giocava, o Baggio. Avendo essi smesso è più difficile. Io mi rendo conto che quello che oggi manca, soprattutto nel calcio, è una memoria: si vive in un eterno presente di tre giorni in tre giorni, basta fare tre gol e sei il nuovo Riva, basta fare due parate e sei il nuovo Zoff…e tutto questo secondo me non contribuisce a una cultura sportiva un po’ più profonda.”

Altra domanda del direttore: “Proviamo a fare un parallelismo tra le firme del giornalismo sportivo e i calciatori del presente e del passato: tra i calciatori un po’ naif e molto originali George Best, Gigi Meroni, Gianfranco Zigoni ed Ezio Vendrame, tra i giornalisti che piacciono perché sanno riscaldare Gianni Mura, Gianni Brera e Darwin Pastorin. Ne aggiungiamo qualcun altro o ne togliamo qualcuno?” “Riguardo agli estrosi” – pensa Mura… a voce alta – “tra gli italiani se ne possono mettere anche altri, anche se non tutti hanno la testa. Morfeo ha dei colpi notevoli, e uno che mi sembra attualmente incarnare una certa allegria del calcio è Miccoli. Al momento basta. Tra quelli che possono riscaldare il lettore, non perché è del mio giornale ma metterei Emanuela Audisio.” “Beccantini?” chiede Nocini. “Ah sì, certo” – annuisce la firma di “Repubblica” – “infatti non stavamo parlando di chi mi piace, ma della tipologia di quelli che scaldano. Beccantini è un critico molto attento, molto serio. Direi che il calore non è una delle sue prime doti, ecco, però è certamente un ottimo collega.”

Si volta pagina: “Che cosa ha voluto significare Moggiopoli?” – domanda Nocini – “Un parallelo con Tangentopoli? Un uomo alla deriva, in senso lato ed etico? La caduta della Fiat?” “Moggiopoli,” – spiega Mura – “di cui pochissime tracce ormai resistono, io l’ ho interpretato come un tentativo di condizionare i risultati. Fatto molto in profondo, però, nel senso che non è una novità che certe squadre hanno sempre provato a farsi amici gli arbitri. A volte non ce n’è neanche bisogno perché gli arbitri, per la famosa sudditanza psicologica, nel dubbio fischiano sempre a favore di chi ha più potere, e non contro. Questa invece era una cosa con delle radici ben più profonde di quello che si pensasse, a livello di organizzazione federale. Però dell’indignazione del primo periodo, quando saltavano fuori le intercettazioni, le telefonate dei ministri, quelle dei designatori arbitrali, è rimasto molto poco: Moggi è un personaggio popolarissimo, lo era e lo è rimasto, ha una rubrica fissa di un certo successo su un quotidiano, fa le serate difendendosi (questo è legittimo, in un Paese libero)… Dice che la colpa è tutta di Carraro e della “Cupola”, non dice perché per 10-15 anni è stato tra i grandi elettori di Carraro o tra quelli che manovravano per farlo eleggere comunque presidente di qualcosa, ma non importa… Io non credo che l’unica bestia nera del calcio italiano fosse Moggi, credo però che per quello che è successo ci sia stata una giustizia, alla fine, abbastanza annacquata.” “Non pensa che, oltre alla ribellione del Belpaese” – rilancia Nocini – “nello scovare Moggiopoli ci possa essere stata anche una manovra della super delusa Inter? E di Rossi, consigliere Inter e legato alla Telecom? Che idea si è fatto?” “E’ quello che sostiene Moggi” – ribatte Mura, serafico – “mi chiedo come lo possa sostenere lei!”

Si cambia argomento, e il nostro direttore chiede al suo ospite quale sia la Nazionale che gli è piaciuta di più: “La Francia dell’82, o l’Unione Sovietica di Lobanowski dell’86 in Messico. Ma anche l’Italia che ha vinto i Mondiali nell’82, anche se forse era più bella quella del ‘78 in Argentina, comunque direi che per quanto riguarda la Nazionale italiana ’78-’82 è il periodo migliore.” Nocini: “Doping ed economia possono avere distrutto la parola e la presenza di grandi miti che non ci sono più?” Mura: “Sicuramente hanno ridotto il ciclismo in uno stato pre-agonico. E’ uno sport molto popolare come testimonia tutta la gente che va per strada al Giro e al Tour, ma il livello di credibilità è minimo, l’ultimo Tour lo dimostra. Io sono cresciuto col ciclismo quindi ho una passione molto diminuita, ma qualcosa mi resta: credo che abbia sette vite come i gatti se c’è ancora gente che va in strada, però questa è la settima. Penso che metà gruppo l’anno prossimo sarà disoccupato e che sarà la paura di perdere il posto e non i motivi etici che forse spingerà molti corridori a non doparsi. Sarebbe già un risultato, anche se non è il massimo della vita, ma già sarebbe qualcosa. Senza dimenticare peraltro che al Tour hanno fatto oltre 250 controlli in tre settimane e ai Mondiali di calcio in Germania neanche uno. Quindi, chi cerca trova ma chi non cerca non trova.”

“Più Fausto Coppi o più Gino Bartali?” riprende il nostro direttore “Più Gianni Rivera o Sandrino Mazzola? Più Baggio o Del Piero?” La risposta è secca: “Tra Baggio e Del Piero decisamente Zola. Riguardo gli altri, so di essere in minoranza, ma Bartali mi ha affascinato, l’ho conosciuto se pure da vecchio, e credo che fosse più forte di Coppi, forse aveva meno stile, ma più salute. Tra Mazzola e Rivera è difficile scegliere, però Rivera…”

“Se la sente di farci una Nazionale dei papi?” chiede poi Nocini, sfoderando un altro dei suoi argomenti preferiti. “Questo – Benedetto XVI°, ndr – non lo metterei neanche in panchina” – afferma Mura – “L’ultimo papa che mi è veramente piaciuto è stato Roncalli, Giovanni XXIII, il “Papa Buono”. Lo vedevo molto ad altezza d’uomo. Woityla è stato un papa di quelli che lasciano il segno, durato molto a lungo, quindi con un voto alto.”

“Se invitasse Angelillo a tavola” – il nostro direttore è curioso – “che bottiglia stapperebbe?” “Già fatto!” – la pronta risposta – “Quando era allenatore alla Torres. Abbiam bevuto un Cannonau. Altrimenti io per Angelillo avrei aperto un Barolo, se avessi avuto la mia cantina.”

“Dilettanti” – Nocini accoglie finalmente Gianni Mura sul nostro terreno di competenza, quello rappresentato da www.pianeta-calcio.it – “conosce questo campo? Che idea si è fatto di questa base della piramide, la cui cuspide non riflette invece grande ricchezza morale?” “Credo che sia un mondo ancora pieno di passione ” – dice Mura – “dove i soldi, se girano, sono proprio pochi, a livello rimborso spese. Credo che sia un mondo in cui ci sia gente che ha provato a dare la scalata ed è stato respinto indietro ( parlo di serie professionistiche e quindi anche la C), e altra gente che lo fa per passione come lo faceva a 20 anni e magari ne ha 40. Penso anche agli arbitri che dirigono su questi campi, dove al massimo c’è un vigile o un appuntato dei carabinieri. Penso che sia un mondo che non conosco, perché io ho cominciato, almeno da giornalista, seguendo i professionisti, oppure devo pensare a quando giocavamo noi, con porte che non avevano neanche la traversa. Penso che sia un altro mondo rispetto a quello che è il professionismo. Ed è un mondo che posso solo indovinare, perché non lo conosco.”

Nocini: “Cosa la commuove di più, in questo mondo di grandissima violenza, di sofferenza in grandissimi popoli, di ingiustizia?” Mura: “Più che commuovermi, mi fa piacere che ci sia una minoranza di gente che cerca di ridurre le ingiustizie, o le guerre, le carestie. Naturalmente sono pochi, però ci sono: parlo di tutti quelli che fanno volontariato, in Italia o fuori, a livello preti o a livello laici, che comunque lo fanno perché pensano che il mondo non finisce sull’uscio di casa.”

“Quindi, lei salva Gino Strada” – interviene il direttore – “che era stato attaccato ultimamente da certi partiti politici o sezioni di partito…” “Io sono molto amico di Gino Strada” – rivela l’autore dei “Cattivi Pensieri” – “e lo preferisco ai politici, alle televisioni e a quelli che lo attaccano senza sapere di preciso cosa fa. Ma non necessariamente solo lui, che poi uno dice Gino Strada e sembra che abbiamo le molotov nel cassetto… A me va benissimo anche padre Zanotelli, o don Colmegna della Caritas… Ormai quelli che si preoccupano degli altri sono rimasti alcuni preti o alcuni che erano abbastanza di sinistra trent’anni fa e lo sono ancora, ma di un’altra sinistra, per cui danno fastidio a quella che oggi si chiama sinistra ed è un po’ come il 4-2-3-: è un 4-5-1, ditelo. E, allora, questa sinistra è quanto di più centrista esista.”

“Lei torna a Verona” – evidenzia Nocini, riportando il discorso entro i confini scaligeri – “con un Verona precipitato dopo 64 anni in C1 e il Chievo, nei confronti del qualche ha manifestato qualche simpatia, in serie B. Che effetto fa?” “Mi fa abbastanza tristezza” – rivela la penna milanese – “sia per una squadra che per l’altra, comunque sono convinto che il Chievo quest’anno tornerà su, perché ha tenuto abbastanza giocatori e se dà via Obinna non mi taglierò i polsi. Quindi penso ce la faccia, e questo mi farà piacere perché io ovviamente sono contro il G14, sono contro questi deliri dei grandi club per cui il campionato deve essere un campionato europeo. Io credo a un campionato italiano, in cui ci deve essere il Chievo, o se non c’è il Chievo il Foggia, il Pisa, l’Ascoli,la Cremonese, il Vicenza… Comunque il Chievo resta sentimentalmente mio.”

“E il Verona? Ricorda un gol particolare?” “Beh” – risposta immediata – “quello di Elkjaer senza la scarpa contro la Juve… Ma anche tanti altri, perché nell’anno dello scudetto io ero praticamente sempre a Verona. Quindi ricordo anche una vittoria in trasferta 5 a 3 a Udine, che dava la quasi certezza, e io ho pensato “domani vado a Verona chissà il casino che trovo al Bentegodi”, e invece c’erano 13 persone di cui 6 pensionati e 7 ragazzini che non erano andati a scuola. Allora ho capito che è vero che poi la provincia ha questa calma nell’assorbire anche grandi risultati, che poi è quella che faceva lavorare bene Bagnoli con una squadra di 13-14 titolari e 3-4 riserve. Poi ricordo delle cene molto divertenti con Volpati…” “Piemontese…” – interviene il nostro direttore – “Sì” – conferma Mura – “piemontese della Bassa però, infatti lui diceva che nel suo paese c’era talmente caldo che tutti mettevano le sedie fuori dai bar vicino alla provinciale perché quando passava qualche camion almeno si sventolavano un po’…”

“Si può dire, però” – Nocini ci tiene all’argomento-Hellas – “che il Verona fu la prima provinciale a vincere lo scudetto, dato che dietro al Cagliari di Gigi Riva c’era una regione? Già il Verona fu precursore di una favola, dato che si parla tanto della favola del Chievo che ora fa venire il latte alle ginocchia, con “Harry Potter”…” “Mah” – Mura difende il “suo” Chievo – “Harry Potter fa venire il latte alle ginocchia perché è banalità, la favola non lo so se fa venire il latte alle ginocchia…quando qualcuno proverà a rifare gli stessi campionati con gli stessi campionati diremo che è un grande manager? No, io no. La stessa idea dei “mussi che volano” ha della favola, esattamente come il rospo che diventa un principe, solo che bisogna baciarne molti, forse, prima di trovare quello che diventa un principe. Il Verona, l’Hellas, è stato un antesignano non tanto nei confronti del Cagliari, perché è vero che il Cagliari aveva Riva ma anche altri tre o quattro buoni giocatori, esattamente come ce li aveva quel Verona. Cagliari era una città più grande con dietro una regione, fino a quando non sono arrivati Riva e gli altri galleggiava tra la B e la A, e quando arrivava in A si accontentava di rimanerci. Ma i rapporti di forza, anche economici, erano molto diversi, infatti è rimasta famosa la decisione di Riva di non andare a Torino nonostante la Juve desse sei giocatori più soldi. Riva è rimasto quello che era, cioè un tipo poco flessibile, poco incline ai compromessi, che quando dice una cosa è quella, e in questi tempi di veline e di pagliacci uno come Riva già è come fosse un monumento a se stesso, e bronzeo.”

“Mancano oggi i poeti…” suggerisce il nostro direttore. “Manca la poesia, non mancano i poeti” – precisa Gianni Mura – “Non c’è assolutamente molto di poetico in questo calcio, quindi perché dovrebbero spuntare i poeti? O sono prezzolati, e quindi sono degli addetti stampa, oppure sono dei poeti finti, c’è poco di cui entusiasmarsi. Cioè giriamo sempre intorno agli stessi problemi da vent’anni, la violenza, la sicurezza degli stadi, il doping, la partita doppia, la doppia velocità… Ogni tanto c’è un gol che dici bello, questo qui forse lo poteva fare Maradona, ma… Si gioca troppo, c’è anche una saturazione alla fine, quindi, forse tutto sembra meno bello, meno piacevole di quello che è.”

“L’ultima volta che lei ha pianto?” – azzarda Nocini. La domanda è delicata – “Si commuove, trova ancora quella forza? Per la morte di Gigi Meroni, la strage dell’ Heysel, la morte di Fortunato della Juventus?” “Per un avvenimento sportivo mai” – spiega il giornalista milanese – “Non ho pianto neanche quando è morto mio padre, non vedo perché dovrei piangere se muore un giocatore. Posso essere addolorato, ma non piango.”

La domanda successiva non è meno impegnativa: “Gianni Mura è sempre così com’è, fatto di pietra come l’Arena di Verona, tempio della lirica, dove nel ’90 venne anche Pavarotti che è scomparso in questi giorni? Lei è mai sceso al compromesso oppure fa ancora parte di un giornalismo che l’ ha mantenuto libero?” “Penso di essere abbastanza libero” – dichiara Mura – “e di esserlo sempre stato, anche se una volta era più facile. Da giovane lo ero perché a quel tempo, se capivano che uno era vagamente portato, anziché segarlo in due lo aiutavano. E io sono stato molto aiutato, ai miei inizi. E, poi, un pò alla volta, l’indipendenza si conquista: io non sono per niente un monumento, sono una specie di vecchio camion che diventa difficile spostare se non conosci bene i difetti che ha nel cambio, nello specchietto eccetera. Non c’è niente di grande in questo.”

“Noi di www.pianeta-calcio.it ” – dice poi il nostro direttore – “ci siamo creati un sito internet che dipende solo dagli sponsor, ovviamente non al punto di dover scrivere quello che vogliono loro. In un giornalismo dove la notizia non esiste più perché diventa subito storia, dato che ne macinano così tante al giorno, la nostra esperienza può rappresentare ancora un qualcosa di libero e indipendente?” “La libertà” – fa notare Mura – “non la dà Internet, non la dà un quotidiano di carta, non la dà un microfono, secondo me. Non è il mezzo con cui ti esprimi che dà la libertà, è la tua voglia di averla e basta. Io Internet la frequento pochissimo, trovo che abbia dei lati utili e anche dei lati negativi perché si è eccessivamente bombardati da notizie e pochissimo da approfondimenti. Per il resto, credo che dipenda dalle caratteristiche che uno ha e che si possono riconoscere attorno ai 20-22 anni, cioè quando ha fatto il suo iter di studi. La libertà non è assolutamente scrivere sempre quello che si vuole, ma è il non scrivere quello che ti dicono di scrivere, soprattutto. Ed è una libertà responsabile, non una libertà sfrenata, come quella di diffamare. Ci può essere la libertà di avere dei dubbi, per esempio, e quindi, nel campo dello sport, di non presentare una vittoria come un trionfo quando è rubacchiata. Significa vedere l’altra faccia della luna, o cercarla, o mettersi dall’altra parte per capire. Significa non avere delle certezze assolute, significa rispettare molto chi hai di fronte, che sia un calciatore o che sia un dirigente. Ma anche non farsi mettere i piedi in testa, naturalmente. E’ tutta una serie di cose che poi vengono col tempo.”

“L’ha più colpita” – prosegue Nocini – “la morte di Garrincha, solo, in povertà, dopo aver regalato al suo Paese, il Brasile, due campionati del mondo, oppure la morte tragica del ventottenne Gigi Meroni a Torino?” “Mi ha più colpito la morte di Meroni” – risponde il giornalista di “Repubblica” – “perché era nel momento di decollo, ed è stata una morte assurda, banalissima. Quella di Garrincha mi ha colpito perché Garrincha era comunque un personaggio molto letterario, con una gamba più corta per cui non avrebbe potuto giocare a calcio, e invece giocava a calcio in un modo che disorientava tutti. Garrincha è nato poverissimo ed è morto poverissimo, in questo senso è un tragitto assolutamente normale, forse quello che farà anche Maradona.”

Il direttore rimane in tema: “Il giocatore che da questo punto di vista le è piaciuto più di tutti, cioè capace di esser stato sempre se stesso e di aver trascinato le folle…” “Anche Best ha fatto questo tragitto, del resto” – riflette Mura – “nascendo povero e morendo pieno di debiti, e autore di battute fulminanti come solo gli inglesi o gli irlandesi sanno fare. Io penso che il miglior profilo di Beckham l’abbia tracciato George Best, dicendo “ha solo il destro, non è forte di testa, segna poco, non combatte. A parte questo, tutto ok”. Un giocatore che a me piace molto e continua a piacermi, anche se è agli ultimi anni, ed è sempre stato se stesso, è Damiano Tommasi, veronese di montagna di Sant’Anna d’Alfaedo.”

Ultima domanda nociniana: “A una bella ragazza, al di là della sua grande capacità di scrivere, preferirebbe intonare una poesia di Paul Eluard, Alfonso Gatto o Eugenio Montale?” “Dipende dalla ragazza” – fa notare il giornalista – “ma mai Montale, che non giudico tra quelli da portarmi appresso. Mentre Gatto ed Eluard sì”.

Luca Corradi, giovedì 13 settembre 2007

© Riproduzione Riservata

Prima Pagina